Da quando abbiamo comunicato la diagnosi della Sindrome di Down e poi da quando Chiara è nata ci siamo sentiti dire ogni frase di circostanza possibile.
“ma sono tanto dolci…e buoni buoni”, “siete coraggiosi!”, “..ma non si vede tanto…”, “sono sicura che non vi darà problemi” ,“ma voi tanto siete una coppia forte…”, “adesso ci sono tante opportunità per loro..”
Queste frasi forse dette per consolarci, o per mettere la propria coscienza a posto, in realtà hanno tirato fuori in noi la voglia di far conoscere questa diagnosi a più persone possibili. Abbiamo scoperto in questi due anni e mezzo che c’è ancora molta ignoranza e che purtroppo molto spesso arriva dalle persone che dovrebbero sostenerti nei primi passi. Questo atteggiamento non c’è stato solo nei nostri confronti ma da quello che leggo ogni giorno sui Social, è davvero una questione quotidiana per molti genitori. Ci aspettiamo che i nostri figli abbiano gli stessi diritti che spettano ad ogni bambino o ragazzo della loro età, ma la realtà è ben diversa.
Non siamo coraggiosi, siamo dei combattenti dove non ci dovrebbero essere battaglie.
Alle porte di questo Marzo, mese in cui, il 21 ricorre la Giornata Mondiale della Sindrome, e giorno in cui abbiamo iniziato a scrivere anche questo blog, ci rendiamo conto che, rispetto all’anno scorso è cambiato poco e questo ci spinge ad impegnarci ancora di più a diffondere, quelle che anche un super papà come Guido Marangoni, definisce buone notizie sulla Sindrome di Down.
Le parole sono importanti, è una delle prime cose che impariamo da bambini, eppure da adulti sembra che ce ne dimentichiamo e iniziamo ad usarle in modo sbagliato.
Siamo nel 2020, la ricerca e le testimonianze dei ragazzi hanno dimostrato che non c’è, alla fine, molta differenza, nasciamo, cresciamo, studiamo, amiamo, giochiamo, impariamo, lavoriamo tutti, al meglio delle nostre possibilità. Certo la vita ti mette davanti a delle sfide ogni giorno ma questo vale anche per chi di cromosomi ne ha solo 46.
Nelle parole ci siamo noi, quelli che siamo!
Nostra figlia, Chiara è una bambina sana a cui piace giocare, sfidarti, imparare cose nuove, parla tre lingue e ha quasi tre anni, questo per dirvi che la Sindrome non la definisce come persona. Ci sono cose che ormai noi lasciamo decidere a lei, ci alleniamo a lasciare un po’ le redini e vediamo come va. Ora non pensate chissà cosa, le faccio scegliere i vestiti da mettere la mattina, proponendole vari abbinamenti e lei mi dice si o no oppure le chiedo dopo la merenda pomeridiana se le va di giocare in casa o vuole andare fuori al parchetto. ( ora che siamo in quarantena, si deve accontentare del balcone!! …anche se la scena più bella è vederla andare all’ingresso, mettersi cappellino e sciarpa ed urlare “ciaoooo”!).
Se una persona usa un “sei un down” per offendere un’altra persona, in realtà sta svelando quanta ignoranza possiede e invece di arrabbiarci dovremmo insegnarle le parole giuste, colmare quel vuoto di conoscenza così che si renda conto del suo errore e impari ad usare le parole in modo corretto e, sopratutto diventi esempio per gli altri.
Questa è la nuova sfida che ci attende! Certo che preferiremmo occuparci di altro, dare più tempo e spazio alle persone che ci sostengono e ci aiutano ma questo non sarebbe un sacrificio, questo non sarebbe nel nostro stile.
Se amiamo, apprezziamo e alimentiamo relazioni solo con le persone che sono sulla nostra stessa “linea d’onda”, non risolveremo mai nulla.
Dobbiamo invece andare a cercare gli altri, farli partecipi della nostra gioia, delle nostre preoccupazioni per il futuro, avvicinarli al nostro mondo non per essere compatiti ma per far si che episodi come quelli che succedono ancora non ricapitino più e che queste persone abbiamo più consapevolezza, non per sentito dire ma perché sono stati con noi e hanno “toccato con mano” istanti della nostra quotidianità!